CD NON CAPISCO LA DIREZIONE DEI VENTI

15,00 

ARCHILOCHUS 5et

Anno Edizione: 2015
CD audio 51 min ca.
Prezzo: € 15,00

SKU: CD02 Categoria:
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Descrizione

Musiche di Giovanni Guaccero
Testi di Archiloco, Alceo, Saffo tradotti da Maria Grazia Bonanno
Con il progetto “Non capisco la direzione dei venti” l’Archilochus 5et propone una rivisitazione moderna della lirica greca antica, attraverso l’interpretazione delle canzoni di Giovanni Guaccero composte su testi di Archiloco, Alceo e Saffo tradotti da Maria Grazia Bonanno.
Il gruppo – formato da Antonia D’Amore alla voce, Antonello Sorrentino alla tromba, Giovanni Guaccero al pianoforte, Dario Miranda al contrabbasso e Nicola Raffone alla batteria – , sviluppa a partire da quei brani una performance in cui la parola cantata e il linguaggio jazzistico trovano un pieno equilibrio.
L’incontro tra prassi esecutive jazzistiche e un linguaggio della canzone, che utilizza traduzioni moderne di liriche greche arcaiche, come afferma Giorgio Adamo, nelle note che accompagnano il CD, «costringe il musicista a un ulteriore sforzo di adattamento quanto più il codice che si utilizza manifesta, come in questo caso, una sua specifica caratterizzazione e coerenza interna: non si tratta solo di creare un sostegno e un accompagnamento sonoro all’espressione poetica, ma di far incontrare e incrociare, appunto, due percorsi espressivi».
L’idea nasce, per iniziativa di Eugenio Lanzillotta, nell’ambito del Progetto Archilochus. Lirica antica e interpretazione contemporanea, pensato e attivato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, con il quale si intende riproporre i testi della lirica antica, da Archiloco alle prime poesie in volgare e anche oltre, come fonti di performance artistiche nelle variegate forme che la cultura contemporanea sa esprimere (traduttive, musicali, teatrali).

Cd direzione venti front

Archilochus 5et

Cd direzione venti back

Il CD Non capisco la direzione dei venti dell’Archilochus 5et ha già la sua significativa storia: nasce dal Progetto Archilochus. Lirica antica e interpretazioni contemporanee, pensato e attivato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
Con questa iniziativa si intendeva riproporre i testi della lirica antica, da Archiloco alle prime poesie in volgare e anche oltre, come fonti di performances artistiche nelle variegate forme che la cultura contemporanea sa esprimere (traduttive, musicali, teatrali).
La prima iniziativa del Progetto ebbe luogo il 20 maggio del 2014 in occasione della presentazione dei primi due numeri di “Rationes Rerum. Rivista di Filologia e Storia”, nella splendida cornice dell’Auditorium “Ennio Morricone” presso l’Ateneo Tor Vergata, con la prima esecuzione assoluta del concerto “Liriche greche arcaiche di Archiloco, Saffo e Alceo”, eseguite per voce recitante e percussioni in alternanza a tre brani per baritono, flauto e pianoforte. I testi erano stati tradotti appositamente da Maria Grazia Bonanno, illustre filologa, e musicati dal maestro Giovanni Guaccero. Spinti dal successo e dall’accoglienza entusiasta del concerto, si è proceduto a realizzare il primo CD Liriche greche di Giovanni Guaccero su traduzioni di Maria Grazia Bonanno.
Quest’anno, il 19 maggio, ancora in occasione della presentazione dei numeri 3 e 4 (2014) della rivista “Rationes Rerum”, si è ripetuta l’iniziativa del concerto avente sempre a tema i testi di Archiloco, Saffo e Alceo con questa differenza rispetto al precedente anno: se il concerto del 2014 percorreva la via dei canoni della musica classica tradizionale, il registro compositivo di quello del 2015 è stato del tutto diverso e innovativo; come ha illustrato brillantemente Giorgio Adamo nell’intervento che segue, i testi sono stati immersi nei moduli, nelle sonorità e nei ritmi jazz. Giovanni Guaccero, nel breve arco di qualche mese, ha avuto il coraggio di due sperimentazioni: con la prima si è inserito nella tradizione dei compositori del Novecento che avevano musicato alcune liriche greche servendosi delle traduzioni di Salvatore Quasimodo apparse nel 1942; mi riferisco a Luigi Dalla Piccola e a Goffredo Petrassi, ma, come scrive Antonio Rostagno nel libretto che accompagna il CD Liriche Greche: “Guaccero si discosta da questa linea novecentista-modernista ed individua una strada mediana alternativa all’idea di progresso come necessario rinnovamento ab imis fundamentis, a favore di un linguaggio sì contemporaneo, ma subito coinvolgente grazie all’impiego di mezzi più comunemente condivisi”. Con la seconda sperimentazione (concerto di quest’anno e nuovo CD) il passaggio è del tutto radicale: il linguaggio musicale, il jazz che si adatta alle liriche arcaiche greche, è del tutto nuovo e finora mai sperimentato. Questo nuovo percorso porta tuttavia con sé motivazioni anche di ordine culturale.
Il ragionamento di Antonio Rostagno mi dà l’opportunità di richiamare molto sinteticamente i risultati più importanti della critica e della filologia greca che, negli studi più recenti, in prima istanza hanno liberato la lettura della poesia arcaica dall’ottica dell’estetica romantica, la quale riteneva che i suoi contenuti e messaggi fossero assolutamente personali ed irripetibili, mentre Archiloco, Saffo ed Alceo, per fermarci ai poeti del nostro CD, hanno comunicato contenuti interamente condivisi dai loro ambienti. Le memorie ed i ricordi che attraversano i loro canti non erano né senza tempo, né senza luogo: sono da rapportare alla vita delle loro poleis, alle comunità che animavano la vita sociale, politica e culturale. A differenza dell’epos omerico, rivolto per lo più ad un pubblico panellenico, largamente esteso oltre i limiti delle singole poleis e regioni, la poesia arcaica è legata ad una nuova tipologia di comunicazione. Come scriveva Luigi Enrico Rossi: “Saffo non componeva per il pubblico panellenico dell’epos e nemmeno per un pubblico più o meno indiscriminato, come accade oggi, ma per il suo tìaso, e nel tìaso le sue odi venivano eseguite col canto e l’accompagnamento musicale in occasione delle celebrazioni comuni” (Lirici greci, a cura di C. Di Noi, Roma 2014, p. XX).
Eguale discorso vale per Archiloco e Alceo, immersi nelle lotte interne delle loro poleis, appartenenti ad eterie o a fazioni nei cui simposi incontravano i loro compagni di partito o di avventure e celebravano assieme, col rito del bere comune, le loro gesta individuali o di gruppo; a questa nuova tipologia di vita che caratterizzava il periodo della formazione delle poleis, a queste nuove esperienze corrispondono un bagaglio di valori e un senso identitario del tutto nuovo, come il frammento di Archiloco sullo scudo abbandonato testimonia molto efficacemente.
Ritornando al CD, esso in primo luogo è rivolto ai giovani, agli studenti delle scuole secondarie e delle Università, a chi proviene dal liceo classico ma non solo, affinché la musica scelta, il jazz a loro familiare e partecipativo, possa essere tramite di conoscenza e di esperienza della prima poesia lirica con i suoi intramontabili contenuti, valori e forme. Senza alcun dubbio un risultato è già stato conseguito: la cantante e gli esecutori del CD a tal punto hanno dato passione e competenza nella loro esecuzione da chiamarsi Archilochus 5et.

Eugenio Lanzillotta
Università degli Studi di Roma Tor Vergata

 

 

Il rapporto testo-musica che si delinea nel canto è uno dei nodi misteriosi che da sempre affascina e sfida semplici ascoltatori e musicologi. Diego Carpitella, padre dell’etnomusicologia italiana, parlava di ‘codici incrociati’, felice definizione che mette in luce la rispettiva autonomia e l’interconnessione di due piani espressivi entrambi connaturati alla natura umana che sembrano in grado, quando si incontrano, di rimandarsi l’un l’altro sensazioni, emozioni, tensioni, in un gioco di sintassi parallele mai del tutto sovrapposte, mai del tutto separate. Per un compositore, misurarsi nella costruzione di un percorso sonoro da intrecciare a testi così straordinariamente pregnanti, evocativi, espressivamente potenti come le meravigliose liriche greche qui affrontate, rappresenta certamente una sfida di grande fascino ma quanto mai impegnativa. Si deve entrare in sintonia con un codice altro. Guaccero vi riesce magistralmente, senza mai sovrastare la poesia, sfruttando al meglio la straordinaria intrinseca musicalità delle traduzioni di Maria Grazia Bonanno, costruendo un fraseggio musicale che aiuta quasi la ricezione del messaggio poetico, disegnando le parti vocali con estrema discrezione. E ciò grazie anche all’aiuto di eccellenti esecutori perfettamente adeguati.
La scelta di rifarsi a sonorità, a un linguaggio e a esperienze che rinviano al jazz appare assai felice e costringe il musicista a un ulteriore sforzo di adattamento quanto più il codice che si utilizza manifesta, come in questo caso, una sua specifica caratterizzazione e coerenza interna: non si tratta solo di creare un sostegno e un accompagnamento sonoro all’espressione poetica, ma di far incontrare e incrociare, appunto, due percorsi espressivi.
L’esito si misura all’ascolto. Che si apre, con Archiloco, in modo selvaggio, brusco, con colpi di suono che quasi accendono un faro improvviso sull’isola coronata da una selva selvaggia: “Eccola!”. Subito ci si ritrova, però, su un tempo a suddivisione ternaria mosso ma piuttosto dolce e assai poco spigoloso, con momenti delicati della tromba che riprende le linee melodiche della voce. Le atmosfere poetiche si fanno forma musicale: il contrasto di umori sonori esprime assai efficacemente la contraddizione che anima i versi, che quasi esaltano e rendono affascinante l’isola “non bella”, nel momento stesso in cui ne descrivono difetti ed asprezze.
Tutt’altra atmosfera per la splendida, appassionata e commovente lirica di Saffo Come un dio: inizio delicatissimo con una lunga introduzione del pianoforte su tempo lento con discreto e rarefatto accompagnamento del basso e di lievi colpi di spazzola alla batteria. Morbida entra la voce con una quarta discendente sulle parole dell’incipit. La musica quasi prende per mano le parole, come sull’ascesa melodica carica di tensione su “d’un riso appena soffocato…” che prelude alla caduta drammatica: “un colpo invece al mio cuore”. O nel mutamento armonico e di intensità su “un brivido di fuoco…”, parole con cui si accende un ritratto del tormento d’amore di sconvolgente intensità. Nella ripresa dall’inizio si affaccia timidamente la tromba in sordina, che verso la fine si propone come un’ombra sonora alla voce. Il miracolo è ormai avvenuto e il giro di improvvisazione può presentarsi in tutta continuità fino alla ripresa della seconda strofe. Finale di nuovo delicatissimo con lunga nota della tromba in sordina che va a spegnersi lentamente, a concludere quello che è forse il capolavoro poetico-musicale del CD.
Un sapore orientaleggiante echeggia nelle calde note del contrabbasso solo ad introdurre A Sardi, città, non a caso, d’Asia Minore. La musica rispecchia ed esalta la complessa struttura della lirica: basso e percussioni, con ritmo asimmetrico, accompagnano i primi quattro versi; entra il pianoforte nella seconda parte (“Ora lei spicca…”), mentre la linea vocale sale di tensione fino a sbocciare su “supera tutte le stelle…”. Un intermezzo strumentale con la tromba al posto della voce prelude alla nuova atmosfera degli ultimi versi (“A lungo vagando…”), che si chiudono con una ricerca di dissonanza sulle ultime parole, quasi inaspettatamente drammatiche.
Altrettanto, se non più ancora complessa la struttura sia poetica che musicale di La solita umana, troppo umana, domanda. Inizio assai discreto, con voce sussurrata, nei primi versi, quasi un preludio, che si evolve presto in una sorta di malinconica ballad su un ritmo ternario in corrispondenza degli accenti dattilici del verso “la donna più bella del mondo…”. Stacco netto per il nuovo frammento “Quanto a me…”. Ancora una volta l’intonazione vocale, le pause, i cambiamenti musicali colgono i momenti chiave del discorso poetico. Una lunga parte strumentale, ‘tirata’ e trascinante, va a chiudere la lirica con un gioco di rimandi con la voce sulle parole conclusive “come sempre”, più volte riprese e ripetute accentuandone vaghezza e allusività.
Un altro momento magico di corrispondenza tra poesia e musica si coglie in Non capisco la direzione dei venti di Alceo. Sembra quasi che la lirica sia stata scritta per essere musicata nella sua rigorosa simmetria, seppur frammentaria, quasi in una sintassi protasi/apodosi ripresa e palesata dalla musica:
– premessa – “Non capisco la direzione dei venti / le onde vanno di qua e di là”
– conclusione – “e noi ci troviamo in mezzo al mare, al largo, / trascinati chissà dove sulla nera nave / tormentati se non distrutti”;
– premessa – “ormai la sentina tiene prigioniero l’albero maestro / la vela è tutta a pezzi, ci si vede attraverso”
– conclusione – “e i vari brandelli, grandi, pendono dall’alto / mollano le ancore, il timone…”
Altrettanto per le atmosfere sonore: un pianoforte liquido, quasi minimalista, ancora in suddivisione ternaria, con un basso modale, inquietante, che ricorda le atmosfere mistiche di A love supreme di Coltrane, un vagare della tromba su un tappeto sostenuto di pianoforte e base ritmica introducono e accompagnano i primi versi. La nave è abbandonata a se stessa in un mare agitato di suoni altrettanto liberamente fluttuante, mentre un crescendo di tensione sottolinea le drammatiche conseguenze: “e noi ci troviamo…”, “e i vari brandelli”. Quindi la coda, a sfumare, sul frammento, sussurrato, “entrambi i piedi delle vele / ancora tengono nei loro supporti”, quasi a intravvedere una salvezza.
La malinconia di Non è più in fiore è annunciata da morbide e calde linee melodiche di tromba su accompagnamento molto discreto di pianoforte e basso. Quanto mai appropriata appare la collocazione di un assolo di contrabbasso dopo l’enunciazione ripetuta del testo, ad introdurre improvvisazioni/variazioni sulla linea melodica principale. Ancora ripetizioni degli ultimi versi, con finale a voce sola, a smorzare.
Con Saffo – Le stelle, attorno alla bella luna – si realizza un’altra efficacissima integrazione di poesia e musica: rarefatto assai l’inizio, pochi suoni percussivi, cristallini, in un silenzio notturno; quindi leggero pianoforte, entra il basso con poche note, il ritmo è appena accennato, due note si alternano – ancora una volta un intervallo di quarta che si ripete ossessivamente – pochi gli accenni di contrabbasso; entra quindi la voce, con movenze lente, sul tappeto delle due note; armonie ridotte al minimo. Il breve frammento viene ripetuto più e più volte, con una voluta monotonia e un lento crescendo sonoro. Il finale torna rarefatto come l’inizio, quasi un tramonto di suoni.
C’è uno dei Sai parte deciso, contrabbasso solo, con ritmo scandito, tirato, quasi funky, accenti off beat. Il piglio è deciso, un po’ sfacciato, impertinente, proprio come i versi di Archiloco.
Tutt’altra scelta musicale, rispetto a quanto finora ascoltato, ha ispirato infine la lunga e impegnativa Tu che siedi in variegato trono, Afrodite eterna – splendido incipit che rivela una volta di più la straordinaria musicalità e leggerezza della traduzione di Maria Grazia Bonanno. La voce si fa bisbiglio, in una recitazione incerta e frammentata, quasi impercettibile; la musica si trasmuta in vago ambiente sonoro, con una trasfigurazione del suono degli strumenti: lievi colpi percossi sulle corde del contrabbasso, suoni armonici con l’archetto, tromba in sordina, pianoforte suonato direttamente sulle corde. Come nelle esperienze free più radicali, il jazz è ormai un ricordo, un’allusione.

Giorgio Adamo
Università degli Studi di Roma Tor Vergata

L’ARCHILOCHUS 5et nasce nel 2015 per eseguire canzoni basate su testi di lirici greci con traduzioni di Maria Grazia Bonanno e musiche di Giovanni Guaccero.
Membri del gruppo: Antonia D’Amore,voce / Antonello Sorrentino, tromba / Giovanni Guaccero, pianoforte / Dario Miranda, contrabbasso / Nicola Raffone, batteria.