CD LIRICHE GRECHE ed altre composizioni vocali

12,00 

GIOVANNI GUACCERO

Anno Edizione: 2015
CD audio 46 min ca.
Prezzo: € 12,00

SKU: CD01 Categoria:

Descrizione

Il concerto Liriche greche di Giovanni Guaccero, su traduzioni di Maria Grazia Bonanno, fu proposto in prima esecuzione assoluta il 20 Maggio 2014 nella splendida cornice dell’auditorium «Ennio Morricone» dell’Università di Roma Tor Vergata. L’evento, patrocinato da «Rationes Rerum. Rivista di Filologia e Storia», nel giorno in cui si presentavano i due numeri dell’annata 2013, diede avvio al Progetto Archilochus: un’iniziativa – destinata in primo luogo agli studenti delle scuole secondarie e dell’università – volta a riproporre i testi della tradizione poetica europea, dalla lirica antica alle prime poesie in volgare, come fonti di performances artistiche nelle variegate forme che la cultura moderna sa esprimere. L’esecuzione dello scorso anno, documentata nel cd-rom, fu accolta da applausi prolungati e intensi.

Cd Liriche Greche front

CD Liriche Greche back

Le Liriche greche e altre composizioni vocali di Giovanni Guaccero
di Antonio Rostagno

Le Liriche greche del 2014 sono concepite come un ciclo, una narrazione scenica ideale, un teatro immaginario dove la parola poetica conduce l’azione e dà anima alla rappresentazione. La selezione delle liriche disegna un percorso allusivo, mai caricato di emotività soggettivizzata e non vincolato a una chiara struttura rappresentativa. Il percorso si articola in tre liriche per voce, flauto e pianoforte rispettivamente di Alceo (frammento 208), di Archiloco e di Saffo (frammento 34), introdotte, inframmezzate e concluse da quattro altri frammenti di Saffo nella traduzione di Maria Grazia Bonanno, con interventi connettivi delle percussioni. Si tratta di alcuni dei più famosi versi della poetessa di Lesbo, dal frammento 31 (il celebre ritratto della sintomatologia amorosa), già tradotto e/o commentato da Catullo, da Foscolo, da Pascoli, ovviamente da Quasimodo e infine da Alda Merini, al frammento 1 con l’invocazione ad Afrodite.
Ciò che interessa è quindi sì l’intonazione della parola, la sua risonanza musicale nelle tre ‘stazioni’ liriche, ma soprattutto la amplificazione della phoné e del logos di alcune parole tematiche nella costruzione complessiva del ciclo, affondata nel suono arcaico e contemporaneo al tempo stesso creato dalle percussioni, dal flauto e dal pianoforte.
Il percorso si apre con la recitazione non intonata della già ricordata descrizione dei sintomi d’amore, introdotta dalle percussioni e dal flauto; quest’ultimo espone sin d’ora alcuni elementi melodico-tematici poi attraversanti l’intero ciclo delle Liriche greche. Non si tratta di veri motivi conduttori, quanto piuttosto di echi ben riconoscibili, che rispondono alla parola poetica e realizzano una ciclicità chiusa. Ne scaturisce il senso di un tempo sospeso, fermo, nel quale la parola antica, la traduzione moderna, la ciclicità dei temi del flauto, l’arcaismo delle percussioni e la risonanza armonica quasi-tonale del pianoforte si fondono e si annullano, in una ideale contemporaneità di tutte le componenti linguistiche.
D’altronde questo rispecchia una delle caratteristiche della figura di Saffo, figura sovrastorica che, come tutti i miti, ogni secolo ha riletto e adattato a sé. L’Ottocento romantico, per esempio, trovò nell’individualismo lirico di Saffo così come nell’ardore civile di Alceo dei compagni di strada.
Tutto diverso fu quanto il Novecento, soprattutto italiano, vide nella poetessa quando, sull’onda delle traduzioni di Quasimodo, i compositori Luigi Dallapiccola e Goffredo Petrassi nello stesso 1942 si rivolsero ai suoi testi (diversi da quelli impiegati qui da Giovanni Guaccero). Dallapiccola ha infatti proiettato il suo linguaggio dodecafonico sul testo poetico sospingendolo così in una area di modernismo espressivo, che sa conservare tutta la forza espressiva delle singole immagini (“Vespro tutto riporti quanto disperse la lucente aurora”, con il grande vocalizzo sui 12 suoni alla parola “lucente”). Petrassi ha utilizzato mezzi più tradizionali, ma altrettanto efficaci nel ritrarre le immagini poetiche (“scuote l’anima mia Eros” in Tramontata è la luna).
Giovanni Guaccero si discosta da questa linea novecentista-modernista e individua una strada mediana alternativa all’idea di progresso come necessario rinnovamento ab imis fundamentis, a favore di un linguaggio sì contemporaneo, ma subito coinvolgente grazie all’impiego di mezzi più comunemente condivisi. La tonalità non vige con le sue regole, certo, ma ampie superfici sonore sono inequivocabilmente poggiate su pilastri tonali (da Re minore al Do conclusivo).
Il fatto che la prima immagine di Saffo (“Come un dio lo vedo”) e la prima tempestosa descrizione di Alceo (“Non capisco la direzione dei venti”, un disorientamento nel simbolico mare in tempesta, con l’immagine della nave nera che inevitabilmente rimanda alla leggenda tristaniana, altro sintomo di volontà di auto-annullamento), il fatto dicevo che queste due immagini iniziali siano introdotte da quel medesimo disegno flautistico che riascoltiamo nella finale immagine dell’Ade “oscuro” segna il senso di questa ideale rappresentazione: la negazione dello sviluppo vitale come progresso, come rettilineo cammino.
In questo percorso ciclico solo l’attesa d’amore, non l’amore consumato, sembra trovare una sua consistenza solo nel frammento 1, l’inno ad Afrodite, che la voce recitante espone nel cuore del ciclo.
Il fatto poi che la gran parte del materiale musicale sia nato da semplici canzoni, semplici intonazioni dei testi senza elaborazione artistica, secondo l’affermazione del compositore, spiega l’impressione di leggerezza cantabile che a volte trapela dalla linea vocale e dall’accompagnamento pianistico. Ma non bisogna fermarsi a questa esteriore impressione; non si tratta solo di una semplice intonazione musicale di testi poetici antichi, in un ciclo di liriche vocali; il senso, laddove si riconosca il valore mitico della poesia di Saffo, è quindi nella parola, nella poesia, nella serie narrativa di immagini e stati psicologici che creano con la musica una esposizione compatta e organica.
Che poi si possano individuare singole componenti, come il ricupero della tonalità, l’impiego di lunghi pedali che danno un colore vagamente arcaico, la ricercatezza e la modernità di alcune soluzioni adottate dalla traduzione italiana, la particolare specularità e la ciclicità di certe immagini (il disfacimento della morte contro la bellezza effimera), non sono che componenti parziali che, pur nella loro importanza, non esauriscono certo il significato di questo ciclo.
Diverso è il discorso per i due brani corali. Manca lo spazio per parlare diffusamente di Lauda, su un testo di Elio Pecora di voluta semplicità, ma costruito su una serie di immagini rifratte e speculari, di echi e simmetrie, da cui il compositore può trarre soluzioni di grande interesse.
Il titolo stesso, Lauda, inevitabilmente rimanda a una tradizione che affonda fin nel medioevo. Lauda è scritta per sole voci femminili, che il compositore impiega anche in modo sperimentale grazie alla disponibilità del Coro Aureliano, per cui il lavoro è stato scritto. La scelta del timbro chiaro, l’assenza della consistenza sonora delle voci gravi, non è certo una novità nella storia: la troviamo per esempio nelle estreme Laudi alla Vergine Maria di Verdi o nel ‘madrigale’ per tre voci femminili della Morte dell’aria di Goffredo Petrassi (e non è un caso che ancora una volta ricorra il nome del maestro romano). In tutti i casi questa scelta timbrica ha una immediata e chiarissima ricaduta espressiva, che sembra alludere a un allontanamento dalla materialità del mondo, della vita e dei suoi controversi opportunismi.
Più ricco di intrecci linguistici e di riferimenti storici e stilistici è Sospir, lacrime e doglie a otto voci miste, del 2011, sul sonetto XVI di Michelangelo Buonarroti (lo stesso testo già impiegato da Benjamin Britten nel n. 1 dei Seven Sonnets of Michelangelo op. 22).
Sospir, lacrime e doglie segue approssimativamente una struttura bipartita: nella prima sezione la parola declamata ritmicamente diviene man mano canto, partendo dall’iniziale mormorio indistinto.
Nello sviluppo della composizione, generalmente caratterizzata da un pluristilismo miniaturizzato, emergono inserti “finto-madrigalistici” che spiccano con tutta la loro “aurale” icasticità, intrecciando piani linguistici ed espressivi che immediatamente suscitano nell’ascolto riferimenti molteplici.
Questi inserti, dapprima minimi e quasi inavvertibili, diventano sempre più chiaramente percepibili. La seconda parte compie a ritroso il percorso compiuto nella prima, risultando perciò più statica. Il vocalizzo solistico prende progressivamente il sopravvento, mentre la parola ritorna gradualmente al mormorio e al “sospiro” da cui tutto era partito. Una ciclicità, una dimensione anti-temporale, che già abbiamo rilevato, in dimensioni maggiori, nel ciclo delle Liriche greche.

Lo sperimentalismo vocale di Giovanni Guaccero
di Raffaele Manica

La presenza della poesia di Michelangelo nella musica del Novecento ha toccato un punto di non ritorno nella Suite dell’ultimo Shostakovich: undici componimenti desolati e addolorati per basso e piano o per un rado organico orchestrale, quasi cameristico, composti a ridosso del Quindicesimo quartetto e della Sonata per viola. Shostakovich, combinando i versi, ne fece un romanzo autobiografico, fermando momenti capitali del vivere in una serie di quadri: una via crucis dell’uomo sperso nell’universo sovietico.
Ma per un musicista di lingua italiana il senso perfino “romantico” di questa poesia trova compiutezza in una forma tortuosa per torsione sintattica e ambigua nel lessico: un enigma pronto perciò a vaporare in suono. Sospir, lacrime e doglie, la partitura per otto voci che Giovanni Guaccero intesse da «Sì come nella penna e nell’inchiostro» di Michelangelo (il titolo trascelto dal musicista è nel verso iniziale della prima terzina, e getta il suo alone su tutto il componimento), trasporta il sonetto (reca il numero 84 nell’edizione Girardi, che lo data circa al 1534 e lo afferma destinato al Cavalieri), di un petrarchismo petroso, in luoghi dove se ne rivela il perpetuo presente. Le voci si fanno spazio fino all’inesorabile e rituale sentenza che ciò che si semina si raccoglie: perfino, contemplando la bellezza con dolore, null’altro da bellezza arriva se non dolore e pena.
Elio Pecora nella composizione della sua Lauda lieta e inquieta si è tenuto fedele, per omaggio, al ritmo di tante Laude iacoponiche: le sue strofe di sei versi sciolti si sgranano in tersi settenari di vario accento, insieme dentro e fuori del Novecento e dunque, in forza di questa feconda contraddizione, nel fuoco di questa controversia, pienamente novecenteschi, come tante volte miracolosamente Penna o Betocchi. Guaccero della Lauda ha centrato il senso percorrendone i lembi estremi, trovando sui margini le risonanze che la lettura può solo vedere indistinte in controluce: ha spezzato le parole fino alle componenti minime, le ha ricomposte e le ha fatte inseguire le une dalle altre, chiedendo sperimentazioni continue alle voci e consegnando così a chi ascolta quella dimensione del testo poetico che, come la verità, spesso giace al fondo.

GIOVANNI GUACCERO è nato a Roma nel 1966, dove ha compiuto gli studi musicali e universitari (diplomandosi in composizione con Luciano Pelosi presso il Conservatorio “S. Cecilia”). Opera nei settori della musica colta contemporanea e della popular music, collaborando con varie realtà “storiche” romane come Nuova Consonanza, Coro Aureliano, Scuola Popolare di Musica di Testaccio, Folkstudio. Ha scritto numerose composizioni (da camera, corali, per orchestra, teatro musicale e canzoni) eseguite in varie rassegne in Italia e all’estero, incise in progetti discografici e pubblicate da piccoli editori indipendenti (Semar, Pontevecchio, Domani Musica). Ha composto musiche su testi di vari scrittori tra cui Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini, Elio Pecora, Giorgio Somalvico. Ha fatto parte del gruppo AleaNova e ha fondato il gruppo Alquímia, con cui ha sviluppato un linguaggio al confine tra improvvisazione e prassi compositive sia di ambito “colto” che pop. Attivo anche in ambito musicologico attraverso la pubblicazione di saggi e volumi (Musica/Realtà, Musica Domani, Aracne) e interventi in convegni (inerenti in particolare l’improvvisazione), insegna dal 2007 “Elementi di composizione per Didattica” presso il Conservatorio “F. Cilea” di Reggio Calabria.